UGO VENTURINI – QUASI IO

{"slide_to_show":"1","slide_to_scroll":"1","autoplay":"true","autoplay_speed":"6000","fade":"false","speed":"666","arrows":"true","dots":"false","loop":"true","nav_slide_column":"3","rtl":"false"}
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image

UGO VENTURINI

Quasi io

21.09 – 01.12.2019

 

Quasi Io, mostra antologica dell’artista scultore Ugo Venturini presso gli spazi del Castello di Rivara, si offre concettualmente agli spettatori come un originale tentativo di compendio e, al tempo stesso, una tentazione e inclinazione all’indagine dell’inespresso, del non-detto, dell’imprescindibile continuum creativo. Foriero della vocazione assimilata per un’arte di idee e contenuti, l’autore concepisce il proprio ruolo di catalizzatore alla perenne e feconda ricerca di formulazioni efficaci e innovative. In movimento sull’asse delle intuizioni – inscindibili dal rapporto attivo con la contemporaneità, dal dialogo diretto immediato con le criticità del quotidiano sociale e globale –, il percorso si snoda per vie autentiche e attraverso soluzioni inedite. Ogni singola opera mantiene dischiusa la pluralità dei punti di vista: l’attenzione è condotta verso le angolazioni, le prospettive stranianti, l’occasione e l’opportunità delle opzioni per una visione lineare, partecipata e interattiva, orizzontale, circolare o periferica. L’estetica non si carica mai completamente del fardello della comunicazione: il dettato si frantuma e scintilla in una varietà caleidoscopica di esercizi stilistici. Da un lato, le parole prendono vita nella materia, in termini ironici, acuti, per gradualità conoscitive e interpretative; dall’altro, le prove si presentano nella loro unicità risplendente: polifoniche concretizzazioni di un grumo di significati in  pluralità compenetranti di materiali (marmi, legno, acciaio, bronzi, inserti), trovate luminotecniche, colori e strutture. Ugo Venturini si distanzia volutamente dalla pratica della riconoscibilità. Gli omaggi ad altri artisti contemporanei e le collaborazioni sono parte integrante del suo viaggio post-moderno, in emancipata fuga verso il futuro delle decodificazioni. Un messaggero assetato di sorprendenti domande e aperte risposte, accorte divagazioni sui temi. In questi termini, la scelta della location – tre vecchie stanze comunicanti inizialmente adibite a locali di servizio e una antica ghiacciaia –  casualmente concordata in origine con il curatore Franz Paludetto, offre inesauribili spunti scenografici e ulteriori possibilità di valorizzare letteralmente le luci delle sculture e le delicate ombre delle problematiche affrontate e sviscerate. Così, se “Giochiamo a volare”, lavoro realizzato a quattro mani con Laura Ambrosi, liberamente e gioiosamente inquadra tutta la componente ludica alla base della creazione artistica; allo stesso modo,  l’allestimento, studiato con guizzo estemporaneo in uno spazio incavo dell’ex ghiacciaia, ne rimette in discussione tutte le caratteristiche tematiche. L’installazione diverrà attrice attiva di un teatro degli oggetti, risultato e conseguente interrogativo dell’attività intellettuale di ogni singolo visitatore.

La lingua mozzata della scultura si dibatte, da sempre, nello spazio bianco, vuoto e libero della pura idealità. Da questa necessaria condizione di ostacolo e arresto, attraverso le parole della prima ispirazione, Ugo Venturini trae tutta la linfa indispensabile alla formulazione poetica e all’elaborazione concettuale. Il livello di tensione muove in oscillazioni di molteplice natura: quotidiana, sentimentale, esistenziale, universale, cosmica.

Estensioni, prolungamenti, inserti e residui non rappresentano mai un teatro delle parti. Poiché la funzionalità è raramente di origine narrativa o esplicativa, gli elementi in campo giocano una partita di sensi contro  letture persistenti e reiterate. In un tale  dominio di continua dissoluzione e progressivi sperperi e ricostruzioni, le regole si inscrivono nello stesso lasso destinato alla produzione: progetto, struttura, area, superficie.

In palio, c’è qualcosa in più della germinazione di un significato univoco. Paradigma è la figura della sfinge: strozzatura e genesi, gettata di luce fondante, enigma e specchio della conoscenza. Silenzio, infine.

Nuclei embrionali hanno sede nella mente dell’artista, legami forti e serrati tra intenzione e realizzazione: il paradossale valore attribuito a vita e felicità umane nel mondo presente; l’intreccio di relazioni, dagli scambi interpersonali d’ogni giorno fino alla catena stretta dei poteri economico-politici globali; la ricerca di idiomi assoluti, slacciati dall’usura dell’informazione, del sentito dire, del conformismo. Da qui, ecco accrescere il potere dell’improvvisazione, per diretta discendenza dalla scelta etica di un inedito dettato: una volta composto il tema, la fantasia interviene, accostando materiali, soluzioni, recuperando l’autonomia del discorso affrancato, autentico, svincolandosi dalle imposizioni estetiche della storia.

La varietà delle formule si riaffaccia al mondo, in un processo di riappropriazione, portando in dono al prossimo la candida visione di una nuova strada da esplorare.

A seguire il percorso di Ugo Venturini, la certezza di perdersi attorno alla scultura, spensieratamente, si accompagna alla netta consapevolezza di un sottotesto denso, ventaglio e gamma di interpretazioni. Da un lato, l’immaginazione è stimolata perennemente dalla pluralità dei punti di vista: l’opera si presenta in un ciclico movimento; da polarità insolite si dipartono scherzi e screzi musicali, tracce di voli e schizzi di fughe, impennate pindariche. Nella frammentarietà che caratterizza la nostra riflessione, d’altro canto, restano impigliati i pensieri, sogni a occhi sgranati, ad arricchire nel tempo la nostra risvegliata coscienza: responsabilità.

testo a cura di Ivan Fassio

 

 

© Copyright - Castello di Rivara