MARIO RUSSO – MOSTRA PERSONALE

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MARIO RUSSO – MOSTRA PERSONALE

24.09. – 05.11.2017

Sosteneva J. W. Goethe che “per sfuggire al mondo non c’è niente di più sicuro dell’arte e niente è meglio dell’arte per tenersi in contatto con il mondo.” La confidenza e la fiducia nel linguaggio della pittura fanno di Mario Russo un esempio di artista difficilmente definibile, connesso ma non inserito esattamente negli ingranaggi di un’interpretazione storica classica.

Per eccellenza non didattico, egualmente ritroso verso le prime linee di militanza degli anni sessanta, le rincorse pubbliche e le convergenze con le mode successive, Mario Russo elude non solo i movimenti culturali occorsi negli spazi del minimalismo, ma anche correnti o vicende artistiche che potremmo definire – col senno del poi – velleitarie. Egli sembra interessato ad una sorta di medianità dell’arte che possa elaborarsi a bottega, come realizzazione di una eleganza iniziatica che definisce nella pratica del mezzo il trampolino di un linguaggio propiziatorio, caldo, libero.

Una esibizione di vita, persino di virilità, moltiplicata al punto da essere indefinitamente non minacciabile da alcuna castrazione, da alcuna turba, da alcuna colpa. Una poetica sviluppata come aurea via di mezzo tra ciò che è adulto/mortale e ciò che è parabola infantile che totalizza l’essere. Per non subire i “processi esemplari” che l’arte del secondo dopoguerra riserva ai suoi figli, Mario Russo lavora in un processo creativo instancabile e talvolta oscuro. Dipinge nudi come sacche di ingenuità e di sensualità rupestri, taglia i corpi in due con i colori di Matisse e Germanà, anticipando una sorta di transavanguardia fragile che sembra reggersi sull’instabile ma rigoglioso desiderio del corpo di trattenere e rilasciare energie liberamente. La sfera in

Mario Russo non genera, non è femmina, non si scinde, non include, non cova, si gonfia come a rompersi ma alla fine non si rompe. Il soffio delle opere di Mario Russo ricorda che siamo al mondo grazie alla forza sovvertitrice di una danza dal sesso indistinto le cui geometrie non sono visibili ai più.

testo di Fabio Vito Lacertosa

Personale a cura di:
Franz Paludetto
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